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Gli attivisti per il clima stanno spingendo per porre fine alle pubblicità e alle sponsorizzazioni che, a loro avviso, permettono alle aziende produttrici di combustibili fossili di accrescere la loro reputazione mentre traggono profitto da prodotti che contribuiscono al cambiamento climatico.

La campagna sta guadagnando terreno mentre un anno di condizioni meteorologiche estreme mantiene alta l’attenzione mediatica sul cambiamento climatico nei titoli dei giornali. Se non fosse di per sé grave, ci sarebbe almeno di che esserne soddisfatti.

Nello scorso agosto, la Francia è diventata il primo Paese in Europa a vietare del tutto la pubblicità dei prodotti a base di combustibili fossili. Anche la città olandese di Amsterdam e quella australiana di Sydney hanno approvato leggi simili.

Pochi giorni fa, il primo giorno dell’Australia Tour Down Under, un gruppo di donne pensionate si è girato le spalle e ha abbassato le gonne durante il passaggio dei ciclisti, mostrando una scritta con le lettere grandi “Santos” (una compagnia petrolifera e del gas che sponsorizzava la gara) e gridando “abbiamo eliminato le Big Tobacco, elimineremo anche Santos”. Alcune di loro sono state arrestate per atti osceni in luogo pubblico, ma con questo gesto le anziane signore hanno saputo attirare l’attenzione dei media più di tanti altri attivisti impegnati in questa causa.

Questi divieti, tuttavia, non riguardano gli accordi di sponsorizzazione per le competizioni e le squadre sportive, che spesso valgono centinaia di milioni di dollari e che stanno emergendo come un terreno di scontro fondamentale.

Il gruppo climatico Dernière Rénovation ha interrotto il Tour de France dello scorso anno accendendo razzi e incollandosi alla strada, fermando la gara in tre diverse occasioni. Lo stesso gruppo ha protestato anche durante le semifinali degli Open di Francia e, a marzo, un attivista di Just Stop Oil ha interrotto una partita di calcio della Premier League legandosi a un palo della porta. Gli attivisti sperano che una legislazione simile finisca per limitare la promozione dei combustibili fossili che riscaldano il pianeta.

“Sponsorizzare eventi e squadre sportive, così come eventi artistici e culturali, è un trucco che l’industria dei combustibili fossili ha preso direttamente dal libro dei giochi delle Big Tobacco”, ha dichiarato Silvia Pastorelli, attivista di Greenpeace per il clima e l’energia a Bruxelles. “Creano un senso di familiarità con il loro marchio, ma allo stesso tempo lo dissociano dagli impatti catastrofici che i loro prodotti hanno sull’ambiente”.

Anche se gli effetti del cambiamento climatico diventano sempre più difficili da ignorare, la sponsorizzazione del petrolio nello sport non mostra segni di diminuzione. Ad esempio, la francese TotalEnergies ha iniziato a sponsorizzare il Team TotalEnergies nel 2016, il produttore chimico britannico Ineos ha assunto la sponsorizzazione del Team Sky nel 2019 e una squadra di proprietà della norvegese Uno-X, una catena di distributori di carburante, gareggerà per la prima volta al Tour De France nel 2023. Tre degli ultimi quattro Tour de France sono stati vinti da corridori le cui squadre erano sponsorizzate da aziende o Paesi legati ai combustibili fossili.

È pur vero che molte grandi aziende con interessi nella produzione energetica si stanno rimodulando verso una visione green e di produzione rinnovabile con ingenti investimenti. Ma il processo che per ovvie ragioni non può che essere lento e graduale, non beneficia di una reale e urgente spinta innovativa dettata dalla necessità e, ad oggi, purtroppo, dall’evidenza climatica.

Tuttavia, i critici sostengono che queste azioni non sono sufficienti e che la sponsorizzazione dei combustibili fossili nello sport, settore determinante all’interno della società come vettore trainante per la percezione della salute e del benessere, dovrebbe essere completamente vietata.

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