La confluenza delle rinnovabili in Confindustria sarà un bene per questo percorso?
Da più parti si riconosce che lo sviluppo rapido delle rinnovabili, conseguente alla drastica (e non terminata) discesa dei costi, stia rivoluzionando il mondo dell’energia. Questa sembra essere la prima causa della “crisi mondiale del nucleare” e del processo di sostituzione del carbone per la produzione di energia elettrica.
Chi investe nel settore dell’energia sa che il vero motore dello sviluppo delle infrastrutture energetiche è rappresentato dalle rinnovabili: solare ed eolico in testa. Anche per il gas si può dire che il costo di un kWh solare è sceso al punto di essere vicino a quello prodotto con un turbogas con il 50% di efficienza. Senza mettere in conto il vantaggio in termini di CO2.
Una rivoluzione che la nostra Enel sta gestendo con efficacia, e che fa dire pubblicamente all’ing. Starace che, nel 2030 (cioè tra soli 13 anni!) “saranno la rinnovabili a prendere il sopravvento”!
Sembra passato un secolo da quando il predecessore, Conti, si dichiarava molto perplesso nei riguardi del settore emergente e sosteneva apertamente il nucleare. Una presa di posizione così “capovolta” rispetto al recente passato merita, da parte di tutti gli operatori del settore, un grande rispetto per chi si assume la responsabilità di dar seguito, con una strategia industriale, alle misure conseguenti.
Ma fuori dall’Enel il Governo è stato, fino ad oggi, un “po’ a guardare”, mentre la rappresentanza industriale delle rinnovabili (mi riferisco ad assoRinnovabili) si sta apertamente adeguando a quella dei produttori di energia elettrica non rinnovabile radunati nell’Assoelettrica e quindi entro l’organizzazione della Confindustria.
Che questo sia un bene o un male per il settore solare lo diranno i fatti, certamente la questione solleva non poche perplessità.
Per capire come il mondo è cambiato, basta riflettere sul bilancio economico e finanziario complessivo dell’intero sforzo nazionale, pagato dai consumatori elettrici italiani, per realizzare i quasi 19 GW che attualmente, costituiscono il “Patrimonio Fotovoltaico Italiano” (PFI).
Una grande e diffusa infrastruttura energetica nazionale in grado di produrre nel solo arco di tempo del periodo incentivato circa 900 TWh (circa tre volte la domanda elettrica nazionale) con un risparmio di gas d’importazione il cui valore è alla pari con la spesa complessiva per gli incentivi al fotovoltaico, ma con il grande vantaggio in termini di CO2 non immessa in atmosfera. Se invece del gas, avessimo, sul piano puramente teorico, investito sul nucleare ci troveremmo, pur in tempi molto “sfalsati”, con lo stesso problema dei francesi che ora si trovano a dover affrontare il costo dello smantellamento delle 58 centrali nucleari ormai, per la gran parte, obsolete. Costo valutato in oltre 100 miliardi di euro! Un costo che gli italiani non avranno, ma che, al contrario dei francesi, non dovranno “accudire” la costose scorie nucleari.
La gestione dell’attuale PFI continua ad impegnare innumerevoli operatori inseriti, per la gran parte, in aziende medio piccole. E’ dentro queste imprese che si trova il patrimonio fatto di uomini e donne dalle consolidate capacità realizzative che hanno resistito al taglio retroattivo degli incentivi.
Come accennato, da circa un anno, le rispettive associazioni lavorano per arrivare alla riunificazione di Assoelettrica con assoRinnovabili. Lo “storico” vissuto in questi ultimi anni rende l’operazione, dal punto di vista degli interessi industriali del fotovoltaico, molto rischiosa. Tre anni fa la fusione di Assosolare in assoRinnovabili, non ha dato al settore quella “spinta” propulsiva che ci si poteva attendere dall’ingresso in un’organizzazione più grande e con qualche risorsa in più. Il bilancio del passato triennio non si può dire certo “brillante”.
Sullo Spalma-incentivi” AssoRinnovabili ha condotto una battaglia e l’ha perduta. Poi ha spinto tutti gli affiliati ad inseguire il sogno di trovare nelle misure adottate dal Governo questioni di incostituzionalità. La Consulta si è pronunciata respingendo tutti i ricorsi. Ora qualcuno parla di andare fino a Strasburgo. Un’eventuale operazione che non ha molte speranze di riuscita, ma che invece, potrebbe avere l’effetto di allontanare ancora di più le imprese del settore dalla possibilità di aprire una collaborazione costruttiva con i decisori politici.
Sul capacity market non è stato fatto un intervento in grado di impedire che risorse pubbliche fossero dedicate indistintamente al salvataggio d’investimenti termoelettrici che hanno portato il nostro Paese in una situazione di abnorme “over-capacity”. E’ vero che “il sole non c’è di notte” (ma il vento sì), ma la capacità di riserva per mantenere in sicurezza la rete potrebbe essere “graduata” con il contemporaneo sviluppo di sistemi di accumulo: un modo per favorire lo sviluppo di un settore dell’industria elettrica italiana.
Per quanto riguarda i Seu (Sistemi Efficienti di Utenza) sono stati compiuti passi indietro e tutte le possibili soluzioni tecniche intese a favorire i cosiddetti “Prosumer” sono rimaste praticamente prive di regolamenti incentivanti e di chiarezza nell’utilizzo della rete. E’ un settore di grande interesse e di grande potenziale per la riduzione dei costi e delle bollette elettriche.
Sugli oneri di dispacciamento si sta subendo una posizione delle istituzioni che appesantisce ulteriormente i conti economici dei proprietari d’impianti fotovoltaici.
Sul principio essenziale del dispacciamento prioritario si sta correndo il rischio che questo ovvio privilegio (basti pensare alle questioni ambientali) in favore delle rinnovabili venga eliminato per la sicura pressione delle lobby fossili anche in sede europea. E’ più che evidente che la cancellazione del dispacciamento prioritario introdurrebbe un livello di incertezza sugli investimenti nel solare (non solo quelli, ormai ridotti, su nuovi impianti, ma anche sulla produzione elettrica del grande patrimonio rinnovabile italiano) con il conseguente ulteriore rallentamento dello sviluppo del settore. Sarebbe inoltre un errore bloccare la fornitura di energia prodotta a costo nullo di combustibile per utilizzare, allo stesso momento, l’energia prodotta con una fonte d’importazione. Non è questo un motivo per un profondo conflitto d’interessi tra il vecchio ed il nuovo?
Sul mancato sostegno a sistemi di accumulo. Un tema questo d’interesse strategico, l’anello essenziale per la piena maturità del fotovoltaico “full season”.
Quello delle batterie è un capitolo triste per il nostro Paese che, dopo la cessione all’Hitachi dell’unica “vera” azienda italiana di batterie (la Fiamm), resterà come in altri settori tecnologici delle rinnovabili, senza un pezzo importante dell’industria di settore. Non favorire o ritardare l’ingresso delle batterie nei sistemi elettrici nazionali vuol dire mantenere lo stato di inferiorità del servizio del solare a solo vantaggio di investimenti sbagliati nella produzione da fossile.
A questo va aggiunta la totale mancanza di visione e di mobilitazione in supporto ad un settore cruciale per l’ambiente e la futura economia: la mobilità elettrica che vede il nostro Paese in forte ritardo con grave responsabilità della FCA.
Con queste premesse, che tuttavia individuano una forte differenza di interessi tra imprenditoria fossile e quella rinnovabile, resta ancor più valida la domanda: potrà il fotovoltaico ottenere, attraverso la confluenza in Confindustria, una maggiore attenzione dal Governo e un maggiore ascolto di quanto avuto nel recente passato? Saprà la Confindustria riconoscere all’imprenditoria delle rinnovabili quell’autonomia necessaria a far valere non solo gli interessi costituiti, ma le proprie prospettive di sviluppo? Saprà la Confindustria individuare nelle rinnovabili il motore della rivoluzione energetica in atto e capire, che il solare e l’eolico sono i driver tecnologici del cambiamento e che su questi due settori tecnologici si debba puntare per il futuro. Non farlo sarebbe un errore strategico che non ci possiamo permettere.
Sarebbe allora auspicabile che la rappresentanza dell’industria e dei servizi del settore nuovo partecipi in prima persona alla guida di tutto il settore elettrico e non viceversa. Non mi sembra che ci siano sufficienti garanzie perché questo avvenga.
di Giovanni Simoni, CEO Gruppo Kenergia